lunedì 2 novembre 2020

Interrogazione programmata

 Caro Presidente Conte,

posso solo immaginare la difficoltà di gestire un Paese in questi mesi; come durante i mondiali di calcio diventiamo tutti CT, in questi mesi siamo diventati tutti Presidenti del Consiglio, ognuno convinto di sapere quale sarebbe stata la cosa migliore da fare.

In realtà io non so quale sarebbe stata, ma una cosa la so: ricorda a scuola le interrogazioni programmate? Uno sapeva in anticipo quando sarebbe stato interrogato, così aveva modo di prepararsi; ecco, ancor prima dell'estate, Lei e i Suoi colleghi eravate a conoscenza dell'interrogazione dal titolo "seconda ondata" eppure vi siete presentati impreparati.

Non c'è nessuna appartenenza politica dietro le mie parole, perché doveva essere un lavoro di gruppo, ma il gruppo non ha studiato.

Per mesi abbiamo ascoltato battibecchi su banchi a rotelle, bonus vacanze, bonus monopattini, vaccini... parole e ancora parole, mentre l'autunno si avvicinava, con la sua ripresa delle scuole, il rientro al lavoro di chi era in ferie, l'influenza stagionale e il grande rischio della salita del numero dei contagiati.

Era davvero così impossibile avere più autubus nelle città? Reparti pronti in caso di emergenza? Un elenco di medici, magari anche tra quelli in pensione, da richiamare in caso di necessità? 

Era così impensabile (anche se poco ecologico, purtroppo) non far pagare i parcheggi a pagamento nelle grandi città ?

Tra i tanti sforzi richiesti, non era forse meno faticoso scaglionare ingressi a scuola, nelle aziende o presso certi uffici pubblici presi d'assalto già al mattino presto da file di persone, spesso anziane?

Certo, molti cittadini sono stati irresponsabili, non hanno usato mascherine, hanno organizzato feste, si sono ammassati per festeggiare l'uscita da mesi di clausura, ma proprio vedendo tutto questo, era necessario essere ancora più preparati.

E ora eccoci qui, ogni sera in attesa di capire cosa succederà; con ragazzi di nuovo bloccati davanti ad uno schermo che non vivono la loro età, adulti chiusi in smart working (i fortunati che hanno ancora un lavoro) con i nervi a fior di pelle; piscine e palestre - che sarebbero utili per scaricare la tensione - chiuse, e la possibilità di evadere con il pensiero da questo periodo orribile che ogni giorno si riduce.

Parlare da fuori è semplice, lo so Presidente, ma avevate un'interrogazione importante e avete toppato, ma le conseguenze ora cadono su tutti noi.

Chissà se qualcuno almeno gioisce perché il campionato di calcio va avanti...

mercoledì 1 luglio 2020

Hai mangiato?



Mio figlio di 13 anni, rientrando da una pizza con gli amichetti, appena mette piede in casa mi guarda e chiede "Mamma, ma tu hai mangiato?"
Ecco, questa frase mi ha fatto sentire amata come non mai.

A parte mia nonna quando ero piccola e mia mamma ancora adesso quando vado a trovarla, non ho mai avuto nessuno che mi chiedesse "Hai mangiato?".
Ho avuto uomini bravi a cucinare, ma spesso per loro vanto oppure per creare un'atmosfera intima per la serata, ma non perché in pensiero per come stavo.

Chiedere a qualcuno se ha mangiato, non è solo legato alla fame, all'atto vero e proprio di sedersi a tavola e masticare del cibo, ma è chiedere come sta, se ha bisogno di qualcosa; è dire "Penso io a te", "Ti nutro d'amore".

Ecco, lasciamo stare la lista delle qualità perfette: io voglio qualcuno che quando mi vede stanca od ombrosa, mi chiede semplicemente "Hai mangiato?" .

Se ad un gesto così caro ci è arrivato un ragazzino di 13 anni, c'è speranza che o capiscano anche gli adulti?


lunedì 25 maggio 2020

I difetti tra i reperti


Mettendo a posto gli armadi durante la quarantena, ho trovato un vecchio hard disk contenente cose che voi umani non potete nemmeno immaginare.
Ad un certo punto mi sono imbattuta in un file denominato "Le merde" - scusate la poca eleganza - in cui con delle amiche avevamo elencato una serie di assurdità degli ex fidanzati o spasimanti.

Lo so, non è elegante, ma eravamo giovani e probabilmente ubriache.

Rileggerlo mi ha fatto davvero ridere, anche se una parte di me, nemmeno tanto piccola, si è chiesta perché noi donne spesso, trovandoci in situazioni palesemente poco gratificanti, insistiamo nel restare.
Non sto parlando di situazioni violente o pericolose, ma di quei casi in cui lui ci fa sentire sbagliate, non all'altezza, goffe, forse anche brutte, e invece di dare una spinta alla nostra autostima lasciandolo lì con la sua pochezza, ci ostiniamo a pensare che andrà meglio.
Ma meglio non andrà e quella situazione è destinata a finire.

Ed ecco che dopo qualche lacrima e tanti pensieri, ci si accorge di quanto il goffo, lo sbagliato, il pidocchioso pieno di manie e magari anche brutto, fosse lui.

Ora, senza fare nomi, vi riporto qualche assurda mania, tratta dal file "Le merde", sperando di strapparvi un sorriso. 

"Meglio far raffreddare": 
In panetteria o nelle pizzerie al taglio, lui voleva comprare solo pane o pizza freddi perché caldi pesano di più e quindi, a parità di soldi, te ne danno meno.

"Grazie dei fiori":
Lui si presentava ogni tanto con bellissimi mazzi di fiori... ma non erano per lei... erano per la mamma.

"Uno, due, tre":
Qualsiasi pietanza, lui la tagliava a pezzettini e la mangiava in un ordine preciso... un pezzo di carne, un pezzo di verdure, un pezzo di pane; un pezzo di carne, un pezzo di verdura, un pezzo di pane...

"Gratta e vinci":
Ogni volta che andava a trovarla le portava i cioccolatini... SCADUTI (e grattava via la data di scadenza).

"Sono impegnatissimo":
Lui che ogni tre per due tirava fuori il cellulare e intavolava lunghe conversazioni... da solo. 

"Good save the QUEEN":
In bagno, seduto sul trono, per non far sentire spiacevoli rumori... lui cantava Bohemian rhapsody. Tutte le volte.
E stonava.

"Toh guada che combinazione":
Non importa in quale locale si andava con le amiche, ad un certo punto lui arrivava; "per caso" passava di lì, e sempre per caso iniziava a stressare perché lei lasciasse le amiche e andasse via con lui... compreso quella sera, in una birreria, dedicata alla presentazione di coppette per il ciclo e altri aggeggi dello stesso repertorio

La raccolta ne prevede di più bizzarre, ma ci sono cose che devono rimanere negli angoli segreti della memoria.

Se volete raccontarne qualcuna capitata a voi, è ben accetta.


mercoledì 6 maggio 2020

La donna perfetta



Inizio ad essere preoccupata.
Ricordate il film con Nicole Kidman dal titolo "La donna perfetta"? Racconta di una tranquilla cittadina americana, in cui le donne vengono trasformate nelle bambole biondissime e perfette che realizzano i sogni degli uomini... eh no, non sono sogni a luci rosse.
Mamme e cuoche perfette, tutte con la messa in piega, truccate e con i tacchi a qualunque ora; perfette ad organizzare cene a base di BBQ e birra ghiacciata, a fare torte e soprattutto CASALINGHE che NON PARLANO se non interpellate.

Ora, sarà che si avvicina la festa della mamma che scatena i creativi più sdolcinati, sarà che nei vari decreti non c'è traccia di indicazioni per centri estivi, baby parking e men che meno si capisce qualcosa riguardo le scuole ("si sta lavorando"...) e i ragazzi in età scuola media, troppo grandi per una baby sitter e troppo piccoli per stare da soli tutto il giorno, sono inesistenti in qualunque discorso, ma a me sta salendo un leggero e fastidioso senso di ansia.

Ho l'impressione che il calo di lavoro in tanti settori da una parte, e lo spingere questa visione della famiglia "Mulino bianco" dall'altra, riporti in auge l'idea che l'unico ruolo della donna è quello di moglie e madre.

A questo si aggiunge quel terribile sondaggio di qualche giorno fa (scusate non ritrovo il link all'articolo) che presentava l'essere sposate e con figli come unica fonte di realizzazione delle donne.

Tremendo.

Io sono una mamma, e questo periodo di clausura forzata mi ha fatto anche godere di momenti con mio figlio molto belli; ma non sono solo quello. Sono una lavoratrice, sono una lettrice, sono un'amica, sono una figlia, sono una ragazzina, sono un'adulta, sono una bellezza... e tanto altro.

Tra l'altro sono una mamma single, una potenziale reietta in un mondo di casalinghe platinate con il sorriso sbiancato e il carrello della spesa che contiene solo cibo sano, che escono solo accompagnate dai mariti.

Attenzione! Non fraintendete! Se una donna  SCEGLIE di dedicarsi solo alla famiglia e si sente realizzata in questo modo, è giusto che lo faccia, che si goda la sua realizzazione e la sua scelta; ma, appunto, deve essere una scelta... non l'unica cosa che una donna può fare.

E poi anche basta con questa cosa che gli uomini non sanno badare ai bambini e anche con quell'altra che devi per forza sposarti e avere figli, e con quell'altra ancora che se lavori tanto non sai gestire il resto.

Ognuno di noi ha tantissime risorse e sa trovare tante soluzioni diverse per gestire gli aspetti della sua vita; e questa capacità ci permettono di avere la diversità che è ricchezza.

Quindi si, inizio ad essere preoccupata, perché mi sembra che invece della ricchezza, si stia andando verso l'aridità dove ci vogliono tutte omologate e silenziose.... proprio come nel film con la Kidman, che tra l'altro è ispirato ad un altro film degli anni '70 dal titolo "La fabbrica delle mogli" uscito  in piena epoca del femminismo per denunciare il disagio maschile davanti queste nuove donne emancipate.

Comunque in quel film le donne erano dei robot e, per quanto perfette, non in grado di sostituire quelle fantastiche rompiscatole che sono le donne in carne ed ossa.



venerdì 21 febbraio 2020

Chiudere il cerchio o dargli un giro di vite?




Non vorrei di colpo passare per una fanatica di qualche misteriosa e irrazionale disciplina , ma, dato (quasi) di fatto anche se non scientifico, è capitato a tutti di desiderare qualcosa e vedere che accade.


Mi riferisco in particolare al rapporto tra le persone: 
qualcuno che non vedi da tempo, lo pensi, lo incontri; 
un ex amore per cui provi ancora  qualcosa che ritorna;  
una seconda chance nel lavoro, proprio dove in passato avevi fallito.

Sono giunta alla conclusione che si tratta di cerchi: fino a quando nel nostro io più profondo non li abbiamo chiusi, la stessa linea ci si ripropone.

Non sono certo la prima a dirlo, ma oggi mi stavo chiedendo perché anche quando il cerchio è sbagliato, continuiamo a desiderare che ci si ripresenti, perché dentro sentiamo che c'è ancora qualcosa da dire o da fare, sentiamo di non essere soddisfatti, nonostante la ragione ci dica che è una strada senza sbocco o addirittura nociva.
E siamo proprio noi a “chiamare “ la situazione, anche se ci fa male, ma è perché abbiamo bisogno di chiuderla, di mettere un punto, che sia di fine o d'inizio.

A chi non è successo di riprovarci con un fidanzato, anche se era un disastro, cullandosi nell'illusione  del successo? 
O ancora, di dare fiducia a una persona un tempo amica, che ci ha deluso, ma il beneficio del dubbio sembra l'unica via possibile?

In pratica pur sapendo cosa ci aspetta, invochiamo e troviamo la stessa situazione fino a quando finalmente facciamo pace con noi stessi e chiudiamo il cerchio.

MA ATTENZIONE chiudere il cerchio non vuol dire che qualcosa è finito; può anche voler dire che, uno volta chiuso, al cerchio si da un giro di vite e diventa il simbolo dell’infinito.

giovedì 26 dicembre 2019

Come dopo una sbronza




Capita all'improvviso, la stessa sensazione che si prova quando qualcuno in piena estate ti lancia un gavettone di acqua gelata... pochi secondi di respiro trattenuto, il senso di smarrimento, gli occhi che guardano a destra e sinistra cercando il colpevole e poi l'indecisione tra il ridere e l'incazzarsi.

Capita all'improvviso, come dopo una sbronza, i ricordi un po' annebbiati, il senso di euforia che se ne è andato, le emozioni amplificate diventate un ricordo; ti svegli e sei di nuovo tu.

E non sai bene dove sei stato.

Ti ricordi che ad un certo punto hai sentito un brivido, e non di freddo; sai che uno sguardo ti è entrato dentro e ha smosso qualcosa; sai che hai iniziato a desiderare di rivedere quello sguardo ancora e ancora. E poi le parole, il sorriso che spunta ebete, la voglia di essere belli, l'energia che aumenta, il rossore sulle guance.

E dalle parole ai fatti, piccoli momenti condivisi ed eccola lì: la fottuta speranza, la voglia di credere ancora che qualcosa sia possibile.
Il cervello lotta con tutto il resto dei sensi per avere la meglio, perché sa che sei ubriaco di vita e tenta di riportarti all'ordine, ma tu non lo ascolti; quel rimestio nello stomaco è più forte della tua esperienza, della tua saggezza, della tua età, della ragione.

E ti aggrappi ad ogni soffio di attimo per restare sbronza di emozioni, come un vecchio alcolizzato che finisce i fondi dei bicchieri abbandonati.
E vuoi bere ancora e ancora...

Ma poi arriva: il momento in cui ti svegli, in cui ti chiedi come hai fatto ad essere così innocente, sprovveduto, adolescente eterno che non impara mai.

Ma dopo il getto d'acqua gelata, ritorni nella fortezza, a smaltire la delusione e ogni volta diventa più difficile lasciarsi travolgere, crederci diventa quasi impossibile.

Ma in fondo ognuno di noi spera di sentir stappare di nuovo una bottiglia, perché ubriachi si sta bene.


Dedicato alle mie amiche innamorate: continuate a bere.











venerdì 29 novembre 2019

Nessuno è troppo grande per un abbraccio





"Nessuno è troppo grande per un abbraccio. 
Tutti vogliono un abbraccio. Tutti hanno bisogno di un abbraccio." 
diceva Leo Buscaglia

e credo sia vero, così tanto che a Milano ha aperto il primo negozio dedicato alla Hug Therapy, dove tanti morbidi peluche ti aspettano per farsi stringere.

Parlo chiaro: non discuto l'idea che anzi trovo originale, ma è davvero quello di cui abbiamo bisogno? Andare in un locale pubblico ad abbracciare un morbido pupazzone?
Una mia amica direbbe che di "pupazzi stronzi ne abbiamo abbracciati tanti, che forse quello di peluche è il più innocuo" e non ha tutti i torti.

Ma davvero le persone non sanno più volersi bene o entrare in empatia?
E non parlo solo d'amore: che bello è l'abbraccio di un'amica o amico quando sei triste, di un figlio che si stringe a te per sentirsi sicuro, della tua squadra dopo un successo sportivo?

E invece pare non si usi più, ma non per questo ne sentiamo meno il bisogno.

Eppure siamo tutti emancipati, sessualmente liberi, ma pare essere più facile fare sesso senza impegno che lasciarsi andare ad un caldo abbraccio. E' come se l'intimità, quella vera, quella del sentimento e dell'emozione, fosse proibita, da nascondere, creasse vergogna.

E dopo l'abbraccio di un enorme coniglio bianco in fibra sintetica, magari mentre beviamo da soli un bicchiere di vino, qual è lo step successivo? Ordinare l'animaletto abbraccioso nel colore preferito on line, così non dobbiamo nemmeno più uscire?

Dal momento che il potere terapeutico di coccole ed abbracci è provato, non possiamo semplicemente tentare di avere meno paura e lasciarci andare?
Potrebbe andare male, si; possiamo rimanere feriti, e so benissimo di cosa parlo, e conosco benissimo il  volersi proteggere, la paura di fidarsi dell'altro, ma so anche che nessuna di queste sensazioni è tanto brutta quale quella di desiderare di avere qualcuno vicino a cui appoggiarsi per qualche minuto, e sentirsi soli.


E vi lascio con queste parole di Jacques Prévert:

Migliaia e migliaia di anni
Non basterebbero
Per dire
Il minuscolo secondo d’eternità
In cui tu m’hai abbracciato
In cui io t’ho abbracciato.